Bonotto: la “fabbrica lenta” che unisce “fare” e arte contemporanea

’azienda tessile di Molvena è ormai un’icona della creatività italiana. Punto di riferimento internazionale per la ricerca e la nascita di nuovi trend nel campo dei tessuti, fornisce le più grandi maison nazionali e internazionali. Recupero di vecchi telai e della manifattura artigiana, mixati alla ricerca di giovani talenti creativi alla base di una filosofia vincente

La Bonotto è una di quelle realtà che oltre all’attività aziendale porta avanti una propria filosofia operativa e sociale. Questa ditta del settore del settile, con base a Molvena (Vi), non soltanto ha alle spalle una lunga storia ma si fa promotrice di iniziative legate al recupero del saper fare e del lavoro artigiano più antico come “La Fabbrica Lenta”. Tutto parte nel 1912 dalla volontà di Luigi Bonotto di produrre cappelli di paglia. Finché cinquant’anni più tardi, grazie all’intuizione di Nicola Donazzan e dell’omonimo nipote del fondatore, questa competenza creativa e manifatturiera viene trasformata in un piccolo gioiello di produttività tessile, parallelamente alla crescita del sistema moda italiano. Dagli anni ’70 diventa un luogo di ritrovo di artisti, sempre per volere dei titolari che puntano a far convivere arte e creazione artigiana. La crescita delle commesse va di pari passo a quella del prestigio, con la fornitura di tessuti alle più grandi maison nazionali e internazionali e con la collaborazione con gli stilisti emergenti più quotati. Giunta alla quarta generazione imprenditoriale, Bonotto spa è ormai  un punto di riferimento internazionale nel campo della moda per la ricerca e la nascita dei trend. All’interno del suo stabilimento vengono prodotti ogni anno due milioni di metri quadrati di tessuti in tutte le fibre, mentre il fatturato del comparto tessile raddoppia dal 2009 (15 milioni) al 2014 (29 milioni) e la quota generata dai brand del lusso tocca il 43%. Il tutto, dando lavoro a più di 200 artigiani.

Fautori dell’exploit più recente sono senza dubbio gli attuali titolari Lorenzo e Giovanni Bonotto. Ma quali sono state esattamente le ragioni del successo e cosa s’intende per “Fabbrica lenta”? È tutto collegato e consiste nell’aver recuperato il lavoro delle maestranze artigiane di modello rinascimentale, proprio quando l’industria tessile italiana andava incontro ad una pericolosa trasformazione, a un sorta di apnea produttiva che vedeva il guadagno e la produzione di massa più importanti della qualità. In altre parole, è stata unita la cultura “del saper fare con le mani” agli stimoli della creatività contemporanea; esito di tale connubio è una produzione tessile senza macchinari elettronici e automatismi, in cui la stretta vicinanza all’arte diventa fonte d’ispirazione e stimolo alla qualità per chi lavora all’interno. Merito di un inteso lavoro di recupero di vecchi telai e macchine abbandonate. «Li ho trovati nelle “barchesse” delle fabbriche fallite, dove veniva custodita la memoria se non il dna di imprese non più operative – ha dichiarato di recente Giovanni Bonotto -. Ad oggi figurano più di 200 macchinari, raccolti dal 2007 in poi, che sono in grado di funzionare» In questo modo sono stati rimessi al centro il prodotto, il tessuto, la pezza. Allontanando gli spettri dell’agguerrita concorrenza dell’Estremo oriente. In quest’ottica la fabbrica custodisce la più importante collezione del movimento artistico Fluxus al mondo. E ha istituito nel 2013 l’omonima Fondazione che sostiene a 360 gradi quest’idea di connubio tra arte, impresa e cultura.

Un progetto industriale come questo, costruito intorno al tema della cultura e della capacità di creare opere d’arte artigianali, già di per sé guarda molto in prospettiva futura. «Si mette in pratica un’idea di sostenibilità e valore aggiunto che rappresenta il mix perfetto per la manifattura dei prossimi anni – prosegue Bonotto –. Il che si traduce nel produrre di meno e nel contempo realizzare un valore maggiore, in una logica che supera l’epoca dei brand e rimette al centro la creatività e il prodotto esclusivo». Lo definisce quasi un “terzo rinascimento della manifattura Made in Italy”, guidato dal know-how artigianale. E questo si trasforma di per sé in un efficace modo di comunicare il proprio valore all’esterno Non è un caso che alcuni dei loro prodotti siano stati esposti alla Biennale di Venezia. Per Open Factory ha organizzato due turni di visite guidate al suo interno, per massimo una trentina di persone per gruppo.

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